NARTECE | un semplice patio?

Anzitutto vediamo cos’è un nartece.

È uno spazio fisico-architettonico, che ci è certamente capitato di vedere in più di una chiesa, grande o piccola, molto nota o meno, che potremmo definire come un patio, una “anticamera aperta” posta prima della facciata vera e propria dell’edificio, anche se a tutti gli effetti ne diviene parte.

La sua origine si deve alle prime basiliche, quando ancora questi edifici non erano chiese.
Le basiliche erano infatti in epoca romana, edifici pubblici, spesso in comunicazione con il foro, che venivano utilizzati come luogo coperto soprattutto per trattare affari, sanare controversie ed amministrare la giustizia.
Qui ne vediamo uno schema tipico, dove il nartece è solo la parte adiacente alla facciata, del più grande porticato quadrilatero.

Con l’editto di Milano del 313 (editto di Costantino) uscendo la Religione Cristiana dalla clandestinità, ecco che la necessità di luogo più adatto e consono alla Celebrazione Eucaristica, trova risposta nell’utilizzo e trasformazione delle basiliche in luogo di culto.
Da lì in avanti le basiliche resteranno identificate come tali o per origine o per corrispondenza delle caratteristiche architettoniche.

Tra le più note possiamo certo citare la Basilica di Sant’Apollinare in Classe di epoca bizantina.

Qui in pianta è piuttosto evidente la presenza del nartece come zona che precede quella delle navate vere e proprie già zona dedicata specificatamente al culto.

Anche la ben più nota e visitata Basilica di San Marco a Venezia ha il suo nartece sebbene di particolare forma a L

Potremmo continuare con gli esempi ma a cosa era destinato questo particolare spazio, questa “anticamera” all’ingresso vero e proprio? Solo rimanenza di ciò che esisteva nelle basiliche antiche di uso “civile” o pagano?

Diciamo che questo atrio pre-esistente o volutamente ricreato anche in chiese che di per sé non sono annoverate tra le basiliche, aveva un precisa funzione o a tale funzione era stato destinato, quella cioè di accogliere i Catecumeni, coloro che erano in cammino (spirituale più che fisico) per essere ammessi al Battesimo e da lì direttamente introdotti alla Santa Eucaristia, con la partecipazione piena anche fisica, anche “spaziale”, all’interno delle grandi navate.

Era quindi un “luogo” che potremmo definire di “penitenza” (di fatto vi sostavano anche i “pubblici peccatori”), ma anche i conversione, per quel tempo necessario ad essere istruiti, accompagnati verso un fede adulta e consapevole e alla Professione di Fede che dava accesso alla partecipazione della Liturgia in assemblea.
Nell’attesa, corrispondendo per lo più le aperture di accesso al nartece a quelle della chiesa vera e propria, i catecumeni e i penitenti, potevano assistere ai riti anche in funzione propedeutica.


In questa pianta del Monastero delle Blachernae, a Killini, possiamo vedere una particolarità del nartece e cioè la coesistenza di un nartece “esterno” (in verde) – esonartece – e di uno “interno” (in giallo) – endonartece.

In una singola chiesa può ritrovarsi anche solo uno dei due e l’endonartece era talvolta sopraelevato (vi si accedeva da una scala), zona talvolta antecedente al matroneo.


L’uso del nartece nelle interpretazioni più antiche, romaniche, bizantine e gotiche andrà di fatto scomparendo proprio per il mutare della sua “destinazione d’uso”, quando cioè la stragrande maggioranza dei battezzati, saranno bambini, figli di cristiani e la necessità di un “catecumenato di accesso” verrà meno, così come quella di “fare anticamera” prima di accedere alla piena partecipazione ai riti. Resta il suo carico simbolico per chi lo sa leggere, quello di un passaggio da una vita pagana o atea ad una vita nella Fede, che richiede certamente un primo passo “verso” e un tempo di revisione e conversione, una “camera di decompressione” potremmo dire. Una “camera” che non è chiusa, da cui si intravede già il punto di arrivo, il “già e non ancora” (rubando una frase letta altrove).



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